I
SOCIAL-RICORDI
“La vita non è quella vissuta, ma quella che si
ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Non sprecare il ricordo significa
non sprecare la vita”.
Gabriel
García Márquez.
Non è memoria ma un richiamare nel presente un qualcosa al cuore e al
sentimento. Un frangente che non è più adesso, non è più qui, ma che ritorna
grazie al solo poter rivivere un ricordo. Un sentimento concreto e non un sogno
frutto della fantasia.
Una capacità che, bella
o brutta che sia, raccoglie tutto ciò che naturalmente attraversa la nostra
esistenza consentendoci di non perdere quell’esperienza che ci rende le persone
che siamo oggi. Una risorsa insostituibile, da niente e nessuno. O quasi.
Infatti, nell’epoca digitale, sembrerebbe che gli individui
preferiscano “limitare” gli “accessi” alla propria emotività, i contatti
diretti con l’altro, controllare le emozioni, allontanarsi da ogni situazione
dove un eccessivo investimento emotivo è oramai sinonimo di rischio.
Tutto questo perché nel 21° secolo, come sociologi e psicologi
affermano, le relazioni sono in crisi.
Le cause a spingerci quotidianamente ad investire sempre meno la
nostra emotività, così da non avere troppo da ri-cor-dare, sono da
rintracciarsi nella paura dell’abbandono e del non amore.
"Il mercato
ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l'opportunità di enormi
profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica e
senza investire emotivamente nulla. Il bisogno di amare ed essere amati è una
continua ricerca di appagamento, della quale però non si è mai sicuri di essere
stati soddisfatti abbastanza. L'amore liquido è proprio questo: un amore diviso
tra il desiderio di emozioni e la paura del legame". BAUMAN “AMORE LIQUIDO”, 2003.
Ciò nonostante resta il nostro naturale bisogno di manifestare il
nostro esserci, ma con delle “garanzie”. I social. Una “memoria esterna” su cui poter riversare
ogni frammento di vissuto. Piattaforme interattive in cui a far da padrone è
l’illusione che basti un semplice click per rimuovere un ricordo, dove se tutto
è lontano dagli occhi lo è anche dal cuore. Illusi che nell’impersonale realtà
digitale la vita diventi un “fardello” più sostenibile.
Dunque, spettatori passivi delle nostre stesse vite; procacciatori
di like, la moderna unità di misura che quantifica la qualità dei nostri
ricordi.
Nonostante la ricerca di legami solidi e stabili sia una nostra
predisposizione biologica, fuggiamo da tutte le occasioni utili per poterne
costruire di veri. Creare relazioni solide equivale alla perdita di
indipendenza, di libertà di scelta. Siamo dipendenti da un meccanismo che mano
a mano si consolida sempre di più. La spersonalizzazione.
Gentilezza, solidarietà, amore reciproco, relazioni vis-à-vis,
nulla di tutto questo è favorito nella nostra società dove essere sensibili e
aperti all’altro è sintomo di debolezza. Emozionarsi è da “sfigati”, essere
fedeli è “demodé”, immedesimarsi è una “perdita di tempo”, essere forti
senza far trasparire alcuna emozione e se possibile ridurle ai minimi termini.
Il futuro così rappresentato appare pertanto ostile e per tale
motivo abbiamo, volutamente o non, incentrato la nostra attenzione e il tempo
nella cura dei nostri profili social per assicurarci un’immagine SOCIAL-mente
accettata.
Dinnanzi a tutto ciò è dunque nostro dovere riscoprire chi
realmente siamo, ritrovare la nostra personale approvazione senza più dipendere
esclusivamente ed affannosamente dal consenso degli altri. Diventare più
consapevoli è il primo passo per dimostrare di essere ancora una generazione
fondata sull’essenza e non solo sull’apparenza; ancora capace di aprirsi all’emotività,
all’amore, al contatto umano.
Dopotutto… “ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé
come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo
leggere il titolo” (V. Woolf)
Dott.ssa Ilaria Magnanti – Sociologa
Dott.ssa Annalisa Foti- Psicologa Psicoterapeuta